sabato 17 settembre 2011

Adozione dei minori. Per una legge che rifletta la società

PRIMO PIANO
di Giambattista Scirè
[17 set 2011]


Di recente il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta ha riconosciuto, in Italia, un provvedimento di adozione per un bambino africano da parte di una donna siciliana, che lo aveva avuto in affidamento quando aveva solo pochi mesi. Si tratta di un’adozione “particolare”, concessa a un singolo genitore, non coniugato, con la motivazione che il piccolo è orfano di entrambi i genitori ed ha avuto un rapporto preesistente stabile con la donna. In realtà si tratta di un caso rarissimo per l’Italia, che, anche sotto questo punto di vista, purtroppo, appare una nazione del tutto arretrata, bloccata, poco competitiva, rispetto agli altri paesi europei. Scopriamo il motivo, ripercorrendone sinteticamente le tappe storiche.

Nella seconda metà degli anni sessanta, a dire il vero, l’Italia ha corso il rischio di essere considerata un paese civile e quasi all’avanguardia. Fu proprio quello della riforma sull’adozione dei minori e l’introduzione dell’adozione “speciale” il primo vero banco di prova che funzionò da apripista per la legislazione sui diritti civili e familiari nel nostro paese, come dimostrarono poi divorzio, obiezione di coscienza e aborto. Prima della nuova legge, approvata nel 1967, poteva anche accadere che un bambino abbandonato venisse affidato a una coppia senza figli e che, dopo anni, si facesse vivo il genitore naturale a chiedere una cifra mensile “per non creare difficoltà”. Oppure che una ragazza incinta invece di lasciare il bambino al brefotrofio in vista dell’adozione, decidesse di contattare, attraverso un intermediario, una coppia senza figli e glielo facesse avere come “legittimo”, presentandosi semplicemente in clinica con un padre non tale. Secondo i dati dell’Istat di allora, nel 1964 esistevano circa 150 mila bambini ricoverati in istituti di assistenza. Per ovviare a situazioni incresciose come quelle, il parlamento, in un raro caso della storia italiana in cui si verificava una convergenza tra i partiti, nonché il favore della Chiesa, prese il meglio dalle altre legislazioni europee, differenziando il caso dei minori dai maggiorenni, diminuendo il limite di età per poter adottare (da 50 a 35 anni), fissando in 20 anni la differenza di età con l’adottato, stabilendo l’organo competente nel Tribunale per i minori (e non piùla Corte d’appello), prevedendo, infine, un periodo pre-adottivo di 2 anni. Quella legge, però, privilegiava ancora troppo l’interesse degli adulti su quello dei minori, non aveva evitato del tutto la compravendita di bambini che aggirava l’intervento dei tribunali, non rompeva abbastanza il legame tra minore e famiglia di origine, prevedeva ancora formalità burocratiche e lungaggini.

Sedici anni dopo, nel 1983, una speciale sottocommissione senatoriale, dopo aver ascoltato il parere degli operatori del settore, di magistrati, associazioni ed enti sull’infanzia e sulla famiglia, proponeva alcune importanti modifiche alla legge, sulla base dei disegni di legge presentati dai democristiani e dai comunisti, in particolare aumentando la differenza di età tra adottante e adottato e diminuendo i cavilli che davano vita alle lungaggini burocratiche. Nonostante le imperfezioni, la riforma aveva introdotto finalmente un importante principio, invertendo le finalità dell’adozione: dal dare un erede ad adulti che non potevano averne, al dare invece una famiglia ad un bambino che purtroppo ne era privo. Più di un decennio dopo, veniva regolata, anche in Italia, l’adozione internazionale, secondo a Convenzione dell’Aia, e poi con una legge del 1998 che prevedeva l’adottabilità anche per i conviventi, ma solo dopo un certo numero di anni. Nel 2001, però, venivano apportate alcune modifiche alla disciplina dell’adozione nazionale, in particolare l’innalzamento da40 a 45 anni dell’età che doveva intercorrere tra genitore e minore da adottare e, oltre al matrimonio, una convivenza di almeno 3 anni come criterio di adottabilità, nonché la graduale chiusura degli istituti di ricovero per minori.

La legislazione italiana sui criteri necessari all’adozione se da un lato è molto rigorosa e cauta rispetto a quella internazionale, e pone al centro dell’adozione il bene del bambino, dall’altro, però, rischia di essere superata dai tempi. I dati parlano chiaro: se nel 1968 ci furono circa 4 mila 400 tra affidamenti e dichiarazioni di adottabilità, nel 1999 le domande di adozione rimanevano altissime, circa 23 mila, ma solo circa 7 mila venivano accolte, e ancora nel nel 2009 appena 4 mila, mentre si registrava un forte aumento dei minori stranieri adottati (67%) contro i minori italiani (32%), mediante l’adozione internazionale (soprattutto da Russia, Ucraina, Polonia, Brasile, Etiopia, Colombia. Vietnam e India). Dal 1995 ad oggi questo tipo di adozione è molto cresciuta, anche se i nuovi criteri per l’accreditamento delle agenzie di intermediazione all’adozione introdotti da Russia, Ucraina e India hanno contribuito ad un recente rallentamento. In ogni caso, il rapporto attuale tra richieste e accettazioni di adozione è di cinque a uno: per la maggioranza dei bambini, allora come oggi, ciò che resta è l’attesa. Un alto numero di famiglie o coppie rinunciano, ancora oggi, a seguito di lentezze burocratiche. Esiste anche in Italia un numero enorme di minori in istituto dichiarati “non adottabili” in base alle norme attuali, ma che avrebbero bisogno di una famiglia: 26 mila bambini, secondo le recenti statistiche dell’Istituto degli Innocenti di Firenze. Per non parlare poi delle coppie che preferiscono andare all’estero direttamente, pagando la cifra che serve. Dagli anni sessanta ad oggi, inoltre, non diminuisce neppure l’età media degli adottanti (39 anni per le donne, 41 per gli uomini), a differenza degli altri paesi.

Se da un lato, dunque, è giusto rifarsi a criteri di adottabilità equilibrati e cauti, è necessario, tuttavia, che le leggi riflettano i cambiamenti della società in cui viviamo. Una legge “elastica”, che sa distinguere i singoli casi, che crea un’eccezione e riconosce, formalmente, una famiglia atipica, come nel caso della donna medico siciliano e del bimbo africano è di buon auspicio per il futuro. Sarebbe bene che questa eccezione costituisse un precedente importante. Come ha già fatto presente una sentenza della Cassazione di qualche mese fa, è auspicabile, infatti, un rapido intervento da parte del parlamento italiano in modo da ampliare i casi di adozione non solo da parte delle famiglie formalmente riconosciute, ma anche delle coppie e dei single. Anche se per la verità, l’attuale classe politica italiana sembra presa da altri più stringenti problemi, ad esempio su come riuscire a mantenere intatti i propri privilegi di casta. Staremo a vedere.

Giambattista Scirè